

Piante velenose per cani – ecco quelle a cui prestare attenzione
Quando si va per boschi e prati alla ricerca di tartufi e ci si fa accompagnare dal proprio amico a 4 zampe le insidie sono sempre dietro l’angolo: non si tratta solo di alcune specie animali, come nutrie, cinghiali, volpi, serpenti, etc., dal momento che assai diffuse sono pure le specie vegetali che possono costituire una minaccia, talora anche mortale!
25 piante velenose per i cani (e i loro effetti)
Alla luce di quanto detto, è bene cercare di imparare quali sono le piante velenose per i cani, al fine di evitarle (fate attenzione perchè qualcuna potrebbe trovarsi anche nel vostro giardino!)….
ACETOSA (Rumex Acetosa)
Piuttosto diffusa in cucina, per il gusto agre (ma non troppo) e al contempo fresco, è adatta sia alla preparazione di insalate che di minestre.
Pare che protegga contro gli status febbrili, che sia un ottimo rimedio per l’inappetenza, secondo svariati studi che sia diuretica e lassativa e che migliori la digestione, che protegga dalla carenza di ferro, e molto altro ancora.
Possibile allora che sia una pianta velenosa per Fido?
La risposta è sì, e la motivazione è che non si tratta solo di una specie contenente vitamina C e ferro, ma anche molti ossalati, che vanno assunti con cautela, e sono addirittura proibiti in caso di litiasi e insufficienza renale.
Non a caso sono stati segnalati episodi di intossicazione con danni ai reni in bambini che ne avevano consumate alte dosi, e se assunta dopo la fioritura può provocare insufficienza renale nel cane.
Come riconoscerla?
Esteticamente ricorda un po’ la lattuga…
ACONITO NAPELLO (Aconitum napellus)
L’erba velenosa detta anche napello ,tanto bella a vedersi nei prati in montagna, tanto pericolosa anche solo a toccarla, trattandosi di una delle piante più tossiche della flora italiana, la cui pericolosità è ben nota già dal tempo dei greci.
Gli alcaloidi che contiene colpiscono principalmente il cuore, il sistema nervoso centrale e periferico, e vengono rapidamente assorbiti sia dopo l’ingestione orale (ne bastano 3 grammi per portare alla morte un uomo in poche ore) che il contatto epidermico.
Passano dai 10 ai 90 minuti prima che compaiano i sintomi: palpitazioni, difficoltà di respiro, ipotensione, bradicardia, tachicardia, aritmia ventricolare, edema polmonare; nausea, dolore addominale, diarrea; disturbi sensoriali e motori.
Gli esordi sono rappresentati da prurito e formicolio che dalla bocca si estendono a tutto il volto e il corpo, fino alla completa anestesia.
Seguono l’ottundimento degli organi di senso, e le manifestazioni poc’anzi citate, ai quali si accompagnano dapprima calore esterno e poi interno, e poi febbre elevata e secchezza di cute e mucose.
La tossicità di cui detto vale tanto per l’uomo come per il cane.
GIGARO SCURO (Arum maculatum)
Definita anche gigaro scuro, si tratta di una pianta velenosa, specialmente le bacche rosse e carnose, e della dimensione di piselli, che contengono cristalli di ossalato di calcio.
Non è una pianta molto frequente: è presente nella parte orientale del Friuli, nei luoghi cespugliosi e ombreggiati, nei faggeti e nelle radure.
La si può riconoscere perché dal tubero si elevano uno scapo e diverse foglie sagittate, che si sviluppano in primavera, grandi, lucide, verdi scure, sovente con macchie brune che contiene, protetta da una foglia a cartoccio dalla forma di pannocchia, un’infiorescenza grossa e carnosa.
L’intossicazione è causata soprattutto da queste bacche, che provocano infiammazione alla bocca e alla gola, gastrite, vomito, salivazione abbondante, diarrea, tachicardia e altre aritmie cardiache, convulsioni, e coma.
Attenzione ai bambini e ai cani che sono attratti dalle bacche.
BELLADONNA (Atropa belladonna)
Il nome è tutto un programma (!): “Atropo” era infatti la Moira che nella mitologia greca tagliava il filo della vita, “Belladonna” fa riferimento alla consuetudine delle signore del Rinascimento di adoperare la pianta come collirio per “lucidare” gli occhi (per via della dilatazione provocata sulla pupilla dall’atropina, alcaloide naturale che agisce direttamente sul sistema nervoso parasimpatico).
Le bacche risultano assai tossiche, per cui, in caso di ingestione, è richiesto il ricovero immediato al fine di arginare i sintomi, che comprendono tachicardia, paralisi del sistema nervoso parasimpatico, convulsioni, coma, morte.
La si trova nei boschi delle Alpi e degli Appennini, ma anche negli agrumeti e nelle zone collinari della Sicilia.
Come proteggere Fido da questa insidia?
Tenetelo lontano da frutti simili a mirtilli, che per di più hanno un sapore gradevole!
BELLA DI NOTTE (Mirabilis jalapa)
Pianta piuttosto comune nei nostri giardini, si organizza in cespugli molto ramificati, dotati di foglie a forma di cuore, di colore verde scuro, che in estate fiorisce di rosa, bianco, rosso o giallo.
E ciononostante, ancora una volta quello che è bello non è sicuro (!): semi e radici risultano tossici, per via della presenza di alcaloidi, resine e arabinosio.
La tossicità coinvolge in particolare il tratto digerente, determinando irritazione delle mucose gastriche, dolori allo stomaco, nausea, vomito, diarrea.
Talvolta stati confusionali e pupille dilatate e, a livello della pelle, dermatiti.
In caso di cagnetta gravida, può provocare aborto.
Se malauguratamente il vostro peloso dovesse ingerire parti della pianta andrebbe trattato con emetici ed emollienti, oppure sottoposto a lavanda gastrica.
CAMPANULA
Le sostanze che determinano la tossicità di questa pianta sono atropina, iosciamina e ioscina (alcaloidi), che si concentrano in particolare in foglie e semi.
L’intossicazione si manifesta con midriasi, alterazione della vista, aritmie cardiache, stato delirante e convulsioni.
CICUTA (Conium maculatum)
In questo caso non c’è bisogno di presentazioni (!): letale per noi e per i cani, visti i 5 tipi di veleno che contiene, vede la massima concentrazione di alcaloidi (tossici) nei suoi frutti verdi, ma anche in foglie, fusti, fiori e radici (tra questi la coniina, una neurotossina che agisce a livello delle sinapsi neuromuscolari).
Cresce spontaneamente nelle campagne italiane, soprattutto in luoghi freschi come i bordi delle siepi o i rigagnoli, di colore bianco, si caratterizzata per un odore nauseabondo, che tuttavia, essendo simile a quello dell’urina di gatto, non è detto risulti sgradevole per il nostro peloso.
Nell’uomo la sua ingestione provoca problemi digestivi, cefalee e, in seguito, parestesia, diminuzione della forza muscolare e quindi paralisi.
Peggio ancora il quadro clinico se si mangia appena qualche grammo di frutti verdi, letali, o anche la carne di un animale che se n’era cibato in precedenza.
CROCUS
Poiché ci sono stati alcuni casi di avvelenamento, verificatisi in Trentino e in Emilia, anche con esito mortale, è importante imparare a riconoscere il falso zafferano.
Si tratta di una pianta bulbosa che cresce in prati falciati e radure boschive, soprattutto ad alto tasso di umidità.
Il suo fiore ha un aspetto apparentemente simile a quella del Croco, pianta esotica da noi coltivata per la raccolta dello Zafferano, in particolare per il colore dei fiori che in entrambe è di un rosa-violaceo molto tenue.
È dunque essenziale cogliere le differenze tra le due specie, che riguardano in primis il numero degli stami -3 nello zafferano, 6 nel colchico autunnale- e la fioritura -che per il colchico va da agosto a settembre, mentre per lo zafferano avviene tra fine ottobre e prima metà di novembre-.
Se malauguratamente qualcuno, cane compreso, ne dovesse ingerire il bulbo e i semi, sarebbe colto da collasso, paralisi muscolare e respiratoria e morte.
DAPHNE
Bella e velenosa, la specie è un arbusto sempreverde con rami fino a 30-40 cm di lunghezza, foglie lucide e coriacee sulla parte superiore e glabre su quella inferiore, che da aprile a luglio produce profumatissimi fiorellini rosa, che però sono velenosi, come pure le bacche giallognole.
Diffusa sia sugli Appennini che sulle Alpi, la si può riconoscere, ed evitare, perché la foglia è simile a quella dell’alloro.
Se il nostro cane ne tocca i fiori e gli steli si procura irritazione cutanea ed eritemi, ma se ne ingerisce le becche sperimenta diarrea sanguinolenta, che lo portano a svenienti, convulsioni, coma e purtroppo alla morte.
DATURA
È un caso che questa pianta velenosa sia detta anche erba del diavolo?
Diremmo di no date le sue proprietà allucinogene, sedative e narcotiche.
Ancora una volta la tossicità è conferita dagli alcaloidi, presenti in particolare nelle radici e nei semi.
In passato era famosa per l’uso nei rituali magico-spirituali di sciamani, druidi e streghe.
L’assunzione avviene prevalentemente bevendo decotti/tisane, ma può essere anche fumata o masticata.
La sua assunzione può causare problemi alla vista, crisi di panico, aritmie, disorientamento, nausea, convulsioni e addirittura la morte (si riportano ad esempio vari casi di decessi anche per l’utilizzo di due soli grammi di foglie).
DIGITALE PURPUREA (Digitalis purpurea)
Dopo aver visto la foto della digitale vi convincerete definitivamente che quanto più è bello un fiore tanto è meglio girargli alla larga (tant’è che oggi anche in omeopatia, dove in passato veniva adoperata per le sue proprietà cardiotoniche, è stata vietata perché altamente tossica).
Il nome deriva dalla caratteristica forma a ditale del suo fiore, molto simile alle campanule, dal colore rosso porpora, rosa, giallo, bianco con screziature violacee.
La si trova nelle zone boschive montane e sub-montane, ma anche nei campi più aridi dell’Europa centro-meridionale.
La tossicità è conferita dall’elevato contenuto di glucosidi, concentrati principalmente nelle foglie, per cui, come detto, il suo utilizzo è ufficialmente vietato, soprattutto sotto forma di bevande, decotti, tisane fai-da-te.
Tra gli effetti collaterali che può indurre si annoverano:
- disturbi a carico degli organi di senso
- bradicardia
- nausea
- vomito
- diarrea
- tachicardia
- fibrillazione
MORELLA RAMPICANTE (Solanum dulcamara)
Sarà pure una pianta officinale conosciuta anche dagli antichi greci per curare contusioni, verruche, disturbi intestinali e molti altri malanni (per via delle sue proprietà antinfiammatorie, anticolinergiche, antivirali, antibatteriche, emolitiche, antiseborroiche, anestetiche, espettoranti, depurative, diuretiche, purganti), ma resta il fatto che la Dulcamara possiede pure controindicazioni, produce infatti idelle bacche velenose , che dunque non vanno assolutamente ingerite. Contengono infatti solanina, una sostanza tossica che provoca perdita di coscienza e insufficienza respiratoria.
Più in generale tutte le parti verdi possono indurre vomito, dissenteria, eruzioni cutanee e crampi addominali.
La caratteristica principale, che può consentirvi di riconoscerla e scansarla sul cammino vostro e del vostro animale, consiste nella forma di stella che assumono i suoi fiori, di colore violaceo, che emanano un odore alquanto sgradevole; attenzione soprattutto alle bacche di colore verde intenso che al termine della maturazione diventano rosse
ERBA MORELLA (Solanum nigrum)
Avrà pure un nome simpatico, questa specie che cresce spontaneamente lungo i bordi delle strade, nei luoghi incolti, nell’orto e talvolta anche in vaso, eppure le sue bacche rosse o nere sono assai tossiche.
Contengono rutina, tropeina, rutina, tannino, asperagina e fitosterolo, ma la velenosità è dovuta all’elevata concentrazione di solanina, alcaloide di origine vegetale prodotto da alcune solanacee, come patate, pomodori e melanzane: a differenza di queste però l’erba morella se ingerita provoca nausea, diarrea, vomito, crampi allo stomaco, mal di testa e nei casi più gravi febbre alta ed emorragie, e addirittura la morte se vengono ingerite bacche immature (che poi a maturazione avvenuta diventano rosse e simili a piccoli pomodori).
GIUSQUIAMO NERO (Hyoscyamus niger)
Si tratta di una pianta biennale o annuale, che raggiunge fino a mezzo metro di altezza e fiorisce da giugno a settembre.
La si trova negli ambienti asciutti e incolti della pianura o della media montagna.
I fiori sono giallo-rosati o con venature violette; il frutto si presenta come una capsula a due cavità, ricca di piccoli semi scuri e velenosissimi.
I sintomi provocati dall’ingestione sono molto simili a quelli causati dalla belladonna, con sdoppiamento della vista, accessi di follia e aggressività.
In letteratura si legge che l’ingestione di 20-30 semi può causare la morte di un bambino, mentre una dose quintuplicata quella di un adulto (per via dello scompenso cardiaco provocato).
IPPOCASTANO (Aesculus hippocastanum)
Attenzione a non confondere i frutti dell’ippocastano con quelli del “nostrano” castagno, perché a differenza loro non risultano altrettanto dolci e appetibili ma al contrario amarissimi, tant’è che l’impiego nell’alimentazione umana non è mai stata nemmeno tentata.
Per alcuni animali non risultano velenosi (ai dosaggi indicati): ci riferiamo a suini, bovini da carne, vacche da latte, ma soprattutto ovini e caprini, mentre vanno aboliti per cavalli, cani, gatti, conigli, scoiattoli, criceti, e simili.
Per l’uomo i frutti inducono vomito e nausea, e ad alti dosaggi una sindrome emorragica difficilmente risolvibile.
LAUROCERASO (Prunus laurocerasus)
Sarà pure bello, somiglierà pure all’alloro, sarà pure molto diffuso nei giardini italiani in particolare per creare siepi, sarà pure una pianta resistente a freddo e caldo e non facilmente attaccabile dai parassiti, ma occhio perché le foglie (ovali) sono velenose al pari delle bacche, che invece appaiono nere e simili a piccole olive arrotondate.
Per fortuna la pianta risulta repellente per gli animali domestici, a causa dei piccoli fiori bianchi a stella che produce ma soprattutto per l’odore forte e intenso che può risultare molto sgradevole (ciò non toglie che sia necessario comunque prestare attenzione).
MAGGIOCIONDOLO (Laburnum anagyroides)
Alcune specie sono spontanee nei boschi submontani e montani della penisola, e rappresentano alcuni degli arbusti più coltivati nei giardini.
Le infiorescenze sono pendule, lunghe dai 15 ai 25 cm, di colore giallo oro; i semi e tutte le parti verdi contengono invece un alcaloide, la citisina, molto tossico, per cui risultano estremamente velenosi per l’uomo (e bisogna fare attenzione che i bambini non le ingeriscano) ma anche per gli animali, fatta eccezione per lepri, conigli e cervi, che se ne possono cibare senza problemi.
I sintomi dell’intossicazione comprendono coliche, crampi, incoordinazione, coma.
MANCINELLA (Hippomane mancinella)
Ci troviamo al cospetto di quello che viene considerato addirittura l’albero più pericoloso del mondo: è così velenoso che si consiglia di mantenersi ad una distanza di sicurezza di alcuni metri!
I suoi frutti somigliano a piccole mele e provocano in pochi istanti un forte bruciore a livello della bocca e della gola.
E non si tratta certo dell’unica parte velenosa, dal momento che anche la resina bianca che produce è molto caustica, e una sola goccia può provocare una forte irritazione della pelle, con gonfiori, dermatite e bruciature, e persino la corteccia è tossica (bruciarla provoca il rilascio di sostanze nocive che possono causare cecità temporanea, e in alcuni casi permanente).
Per fortuna la mancinella è originaria di Florida e America Centrale, ed è diffusa in particolare nei Caraibi e alle Bahamas, per cui non c’è rischio di imbattervisi mentre siete impegnati in una battuta di cerca al tartufo col vostro cane!
MANDRAGORA
I sintomi che allarmano qualora l’erba dovesse essere ingerita vanno da una manifestazione “blanda” che comprende nausea, vomito, problemi intestinali, secchezza delle fauci e difficoltà a urinare, fino ad allucinazioni, delirio e tachicardia per le condizioni più gravi. E purtroppo in alcuni casi alla morte.
Il problema è rappresentato dalla sua grande somiglianza con altre piante comuni e commestibili, come alcuni tipi di lattuga, che può provocare avvelenamenti accidentali, come pure dalla bellezza e succulenza delle bacche, assai attrattive per i bambini.
NARCISO SELVATICO (Narcissus poeticus)
Il nome avverte: Narciso era così pieno di sé, così innamorato del suo aspetto, da morire cadendo nel fiume in cui si specchia…
Se non volete fare una brutta fine (!) non fatevi ingannare dal suo sembiante estetico, assai bello: anche se varia da specie a specie, in generale i fiori mostrano una corona esterna e una più interna, con colori naturali che sono il bianco o il giallo, e altri ibridi ottenuti per innesto che comprendono anche l’arancione o il rosa.
Tra le specie spontanee di casa nostra, il Narcissus poēticus L. (noto come Narciso selvatico o Fior di maggio) si incontra nei pascoli montani dalle Alpi alla Sila.
La brutta fine alla quale accennavamo in precedenza è dovuta al contenuto, in bulbi e foglie, di un alcaloide velenoso chiamato narcisina, che se ingerito accidentalmente può provocare disturbi neuronali e infiammazioni gastriche negli animali, oppure la morte nell’uomo, che sopraggiunge in meno di 24 ore, se ingerito liquido.
Ma come, un uomo si bette “a bere” dal bulbo di un fiore?!
No, ma potrebbe scambiarlo per commestibilissime cipolle, alle quali somiglia, e mangiarlo…
NOCE NERO (Juglans nigra)
Pianta nativa del nord America le cui radici, gusci e foglie secernono una sostanza nel terreno chiamato juglone che è un inibitore delle vie respiratorie per alcune piante, che per questo non andrebbero piantate in sua prossimità.
I cavalli e i bovini sono suscettibili alla laminite che è una malattia che causa irritazione a livello degli zoccoli con conseguente zoppia.
Ma la tossicità si estende a disturbi della respirazione e gastrointestinali.
NOCE VOMICA (Strychnos nux-vomica)
Albero sempreverde dalle foglie rotonde, conosciuto anche come Albero della Stricnina, predilige calde zone asciutte al bordo di folte foreste vicino la costa, dove può crescere fino a 25 metri d’altezza ed è tutto penetrato dalla mortale neurotossina stricnina.
I fiori dal colore bianco-verdastro sviluppano bacche rosso-arancio che contengono da tre a quattro semi di colore grigio-cenere.
Da 0.75 a 3 grammi causa forti crampi muscolari, paralisi del sistema nervoso centrale e dei muscoli, e paralisi dell’apparato respiratorio che alla fine conduce alla morte!
Per fortuna possiede un sapore amaro, aspro e nauseante, che dovrebbe dissuadere il cane e altri animali domestici dall’ingerirla (anche se, ahinoi, è inodore!).
OLEANDRO (Nerium oleander)
Tutte le parti della pianta sono tossiche, contenendo glicosidi cardioattivi, responsabili di alterare il ritmo cardiaco, causando aritmie di varia natura, generalmente anticipate da episodi di vomito.
Sebbene queste sostanze agiscano a basse concentrazioni e l’intossicazione sia potenzialmente mortale, se riconosciuta e trattata tempestivamente si risolve senza esiti.
Il bambino e il cane solitamente sono attratti dal fiore o dalle foglie che assaggiano, ma dai quali raramente restano gravemente intossicati.
Per evitare qualsiasi problema con l’oleandro velenoso è bene non bruciarlo né utilizzarne alcuna parte, ivi compresa l’acqua in cui si è conservato il vegetale reciso.
ORTICA (Urtica dioica) e QUERCIA VELENOSA (Toxicodendron)
Le mettiamo assieme perché il loro comportamento è pressoché lo stesso: in questo caso infatti il problema è rappresentato dai peli (tricomi) che rivestono le foglie, responsabili di rilasciare un liquido irritante quando toccati, che provocano nel cane scialorrea, intenso prurito soprattutto al muso, debolezza, tremori, vomito, dispnea e bradicardia.
L’Edera Velenosa ha foglie sottili, spesso lucide e verdi brillanti (a meno che non si tratti di fogliame giovane, nel qual caso può essere arancione o rosso), con bordi irregolari e frastagliati.
A seconda del periodo, la pianta può avere gruppi di piccoli fiorellini giallo-verdognoli (solitamente in giugno) o bacche bianco-verdi (in autunno).
La Quercia Velenosa predilige zone asciutte e presenta gruppi di tre foglie che possono o meno somigliare a quelle della quercia autentica. Solitamente sono verdi in primavera ed estate, rosse in autunno.
Fiori e bacche vanno dal bianco al giallo-verdognolo, come nell’edera velenosa.
RICINO (Ricinus communis)
Anche in questo caso la fama sinistra della pianta la dice lunga sull’opportunità di condurvi vicino il cane: l’olio che si ricava dalle foglie non è pericoloso, ma lo stesso non può dirsi per i semi di ricina, che contengono la ricina, una delle più velenose sostanze in natura, che provoca la morte, non prima di aver indotto gastroenterite, febbre, dolori colici, danni renali e convulsioni.
Cosa fare qualora il cane resti intossicato da una pianta velenosa?
È chiaro che più si conosce questo genere di pericolo più è semplice stargli alla larga: ecco perché abbiamo scritto questo lungo articolo!
La cosa più saggia da fare in quest’evenienza resta comunque quella di contattare immediatamente l’esperto: fortunatamente la tecnologia ha anche i suoi risvolti positivi e, se pure non conosciamo direttamente l’erba responsabile, possiamo scattarle una foto e inviarla al veterinario.
Poi occorre:
- sistemare il cane in un luogo sicuro e ventilato
- evitare di provocargli il vomito, se non espressamente richiesto dal medico, perché alcuni veleni possono causare ulteriori danni se rigurgitati; qualora fosse necessario indurlo si potrà usare il perossido d’idrogeno in una soluzione al 3% o, in mancanza, un cucchiaio di sale fino
- somministrare in seguito carbone attivo (un grammo di polvere ogni 450 gr. di peso)
- stimolare il cane a bere per espellere le tossine dal corpo (magari con l’ausilio di una siringa pulita, ripetendo l’operazione varie volte, senza paura di esagerare).
Fortunatamente, fatta eccezione per pochi vegetali estremamente tossici (come ad esempio oleandro e ricino), in grado di uccidere anche in quantità estremamente limitate, è veramente raro che l’assunzione di una modica quantità di piante velenose per i cani possa determinare quadri clinici estremamente gravi e non risolvibili… eppure la prudenza è d’obbligo!
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